L'emergenza rifiuti in Campania, ...
L'emergenza rifiuti in Campania, che si fa ogni giorno più esplosiva, è una metafora del modello di sviluppo occidentale e del suo possibile, anzi probabile, destino. In genere si addebita la responsabilità di tale emergenza agli amministratori locali, ai governi nazionali, di sinistra o di destra, ai vari commissari straordinari, agli interessi della camorra e allo stesso popolo partenopeo poco incline, per storica indole, all'ordine. E queste responsabilità, naturalmente ci sono. Ma il nocciolo della questione non è affatto qui.
Napoli e la Campania non sono che la punta più evidente e più visibile di un gigantesco iceberg mondiale. Il fatto è che il modello di sviluppo occidentale, nel quale oggi rientrano anche la Russia, la Cina, l'India e tutti i Paesi cosiddetti terzomondisti dov'è penetrata la nostra economia, produce troppo. Tot di produzione vuol dire un altrettale tot di rifiuti. E poichè, come diceva Democrito già nel IV secolo a.C., "in natura nulla si crea e nulla si distrugge" il rifiuto lo si può spostare, lo si può nascondere, come fan i cani nascondendo la loro cacca sotto il tappeto, ma non lo si può eliminare. Un caso classico di occultamento canino sono i termovalorizzatori. Il termovalorizzatore riduce solo apparentemente i rifiuti, in realtà semplicemente li comprime. Come sempre avviene con la tecnologia. La tecnologia comprime in tempi e spazi ridottissimi ciò che la natura elabora in tempi lenti e in spazi ampi. Ma l'energia così compressa rimbalza, prima o poi, come una molla e con la stessa forza che l'ha compressa. Il termovalorizzatore in realtà è un produttore di un concentrato di veleni (la diossina) che rimangono in circolazione per un tempo pressochè eterno, almeno in termini umani. Abbiamo reso la cacca meno visibile, ma non meno insidiosa.
É anche per questo che altre regioni italiane sembrano meno compromesse della Campania. Alcune di queste poi mandano i loro rifiuti in Germania, pagando il servizio a peso d'oro. E cosa fanno i bravi tedeschi? Fanno quello che farebbero i napoletani se solo potessero: scaricano i rifiuti più tossici altrove, sulle coste del Benin e di altri Paesi, troppo poveri e troppo deboli per opporsi al proprio genocidio. Ma prima o poi anche le coste del Benin diverranno sature. E allora tutto il pianeta sarà nelle condizioni in cui sono oggi Napoli e la Campania.
La soluzione sembrerebbe ovvia: produrre di meno. Ma non si può. Questo modello è basato sulle crescite esponenziali. Il che vuol dire che non solo, dio guardi, non può tornare indietro, non solo non può fermarsi, non solo non può rallentare, ma non può nemmeno mantenere, per quanto già vertiginosa, l'attuale velocità ma deve, per sua ineludibile coerenza interna, continuamente aumentarla, altrimenti implode su se stesso. E nessun Paese, preso singolarmente, può sottrarsi a questa folle corsa produttiva, perchè retrocederebbe a livelli considerati intollerabili. Ci vorrebbe una «moratoria mondiale della produzione». Ma chi mai oserebbe nemmeno pensarla? E se mai qualcuno ci pensasse sarebbe sommerso dai frizzi, dai lazzi, dagli insulti, dagli sputi proprio di coloro che lamentano i tumori, le leucemie, le malattie cardiovascolari, quelle respiratorie provocate dall'inquinamento, ma che, in una tragica fagia autodistruttiva, non sognano che di ingurgitare sempre nuovi prodotti, e si considerano poveri se non li hanno, confondendo i bisogni con i desideri che son cosa diversa. Moriremo non perchè poveri, ma perchè troppo ricchi.
Come nella «Grande abbuffata» di Marco Ferreri moriremo soffocati dalla nostra stessa merda. Moriremo come meritiamo. Come merita chi ha dimenticato ogni senso del limite e di sè e lo stesso istinto di sopravvivenza. Amen.
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