Sulla ghiaia un appello a Corona.
Avevo, tempo addietro, telefonato a Mauro Corona. Quella volta il suo telefono squillò parecchie volte a vuoto: tuu, tuu, tuu, tuu, fu l'unica risposta che ebbi, finquando una gentile voce di donna, registrata in segreteria telefonica, interruppe quel monotono soliloquio, pregandomi di richiamare o di lasciare un messaggio.
Ho avuto la fortuna di conosce Corona, o per meglio dire, di vederlo a Claut, paese da cui proviene mia moglie. Lo trovai in un bar del centro, con un braccio appoggiato stancamente al bancone di acciaio, mentre la mano destra sosteneva un bicchiere di buon vino rosso, ancora mezzo pieno o mezzo vuoto. Mi misi allora a osservarlo attentamente, su di lui circolavano voci che ormai si erano trasformate in vere leggende. Derivavano da un condensato di atteggiamenti, da vizi e virtù che potevano riassumersi in sentimenti, emozioni, sogni e fatti concreti. Una simpatica eccentricità si rispecchiava nella fama di sensibile e famoso scrittore di grido, ma anche nel suo atteggiamento burbero e scostante ma anche nel suo modo di vestirsi. Ma di lui si conoscevano anche la capacità e il coraggio nell'affrontare vette e rocce, apparentemente inviolabili, in scalate ardue e difficili, affrontate con il solo mezzo della forza delle braccia e della sua tenacia.
Una grinta che si sposa quasi al suo estro, alla sua geniale fantasia e alla sensibilità, che meglio esprime nel raccontare eventi della sua infanzia. Ma grande è nel contempo, la capacità di coinvolgere emotivamente i suoi lettori, allorché descrive la vita passata fra i monti, fra le amate piante di boschi che stanno scomparendo, come scompare con esse tutta l'umanità, perché natura e uomo sono univoci e indissolubili elementi, legati a un unico destino. Una natura vittima della bramosia umana, del suo incontrollato e incontrollabile desiderio di possesso, come se il controllo su di essa potesse diventare il controllo sull'universo e quindi sul creato.
Ho chiesto al telefono di Corona la sua partecipazione, un aiuto, un suo appoggio alla nostra lotta contro il perpetrarsi del nostro Vajont degli anni Tremila, il Vajont di una zona pedemontana, ove nel terzo millennio nuovi e più voraci squali del sistema imprenditoriale, se non si dovesse rispettare, più che le norme previste in materia ambientalista, il buon senso, potrebbero creare gravi danni ambientali, con conseguenze imprevedibili anche sulla salute dell'uomo.
Il monte Toc si è spostato più a valle e sta nuovamente e silenziosamente scivolando dopo 44 anni, lungo i pendii per raggiungere la scura massa liquida che già attende di sommergere nuovi ambienti e graziose abitazioni. Già c'è il pericolo che si crei una nuova diga, in una zona non molto distante da Erto, tonnellate di ghiaia potrebbero allora riversarsi senza controllo e, come vendetta della natura, sull'uomo sordo ai suoi richiami disperati, su un paese grazioso in cui la gente felice e operosa conduce la sua vita normalmente, portando come ogni giorno i figli all'asilo, lavorando nelle fabbriche adiacenti, gestendo la casa nelle attività quotidiane, ma ora con una velata preoccupazione nel cuore. Una malinconia dettata da dubbi atroci a cui non è stata data ancora alcuna risposta e chiarezza.
Mauro, parli del nuovo oro dell'era moderna, la ghiaia nel tuo caso e il materiale per fare cemento nel nostro. So perché scrivi proprio in questo momento, so perché non lo hai fatto quando avresti potuto farlo. Forse che la natura è figlia di madri diverse? O come sospetto sta diventando orfana di ambo i genitori. Oppure ognuno si è impossessato di un pezzo di natura da salvaguardare, facendolo proprio, come se fosse una battaglia da vincere e non una guerra da condurre unendo le forze.
Mario Fucile
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento